Esiste nel linguaggio parlato dei nostri paesi e, più in generale, ad un livello molto più ampio, forse addirittura nella consuetudine degli uomini dacché parlano, l’abitudine di affibbiare dei soprannomi alle persone o a gruppi di persone.
Tale usanza è certamente una derivazione della pratica di chiamarsi con un nome che è l’espressione della necessità di riconoscersi.
Già in documenti assai antichi si possono trovare i nomi propri seguiti da detto.., con il relativo soprannome e, in tempi più recenti, capita di leggere su annunci funebri il nome del caro estinto seguito, tra parentesi, dal “nome d’arte”. Questi appellativi hanno una valenza espressamente locale per quanto riguarda quelli appioppati alle persone o alle famiglie di un determinato luogo, altri – ad esempio quelli scelti o attribuiti a personaggi dello sport, dello spettacolo o dell’arte – hanno un valore e ancor più un significato per un maggior numero di persone e, tutti o quasi, identificano con questo o quel nomignolo una persona: si pensi al Fenomeno Ronaldo o a Madonna Maria Ciccone – che probabilmente la maggior parte delle persone non conosce col nome di battesimo o, ancora, a Praenestinus Giovanni Pierluigi da Palestrina, tanto per fare qualche esempio. Di questi, il primo, identifica una particolare capacità atletica, il secondo un vezzo di chi se l’è scelto, e, l’ultimo, il luogo da cui proveniva il musicista (che oltretutto dà il nome al coro locale).
Tra gli scotòm piariesi di questo tipo troviamo Ruècc (da Rovetta), Pareschì (da Parre), Marinù (dai Marinoni), Nasülì (da Nasolino) e ancora Brànche (per la sveltezza di mano…) e Bòre (per la cortezza intellettiva).
Nel nostro dialetto, il soprannome, viene detto suernòm, ma è assai più frequente sentir dire scotöm che Gabriele Rosa fa risalire al greco skotos-onoma, nome oscuro (“Dialetti, costumi e tradizioni nelle Province di Bergamo e Brescia”, Brescia, 1870 – pag. 113). Quale che sia l’origine etimologica, è certo che gli “scotöm” sono spesso utilizzati: capita ancora oggi di poter assistere ad una conversazione tra persone di una certa età e trovarsi spaesati di fronte agli appellativi utilizzati. Oggi questa consuetudine è andata un po’ in disuso e anche se rimane in alcuni casi l’abitudine di “battezzare” le persone, l’usanza è limitata alla cerchia degli amici ed è più un modo gergale per identificare un conoscente. Fino ad alcuni anni fa, invece, il soprannome era assai diffuso anche all’esterno del paese e, addirittura, poteva essere problematico chiedere dove si trovava l’abitazione di una persona conoscendo solo il suo nome e cognome, mentre l’opera si semplificava se si conosceva il nomignolo della stessa. Peccato che oggi questo folclore stia scomparendo.
Come già visto, gli scotöm derivano da caratteristiche personali o di provenienza, ma se ne possono trovare attribuiti sulla base di una particolare caratteristica fisica o del lavoro svolto. È il caso dei vari Bragù (per gli ampi pantaloni), Pinù (per la grandezza di statura), Baghì (per la piccolezza di statura), Gris (per i capelli grigi) e Balì (per l’ampiezza fisica) oppure Römècc (custodi), Barbèr (barbiere) e Pastùrì (pastori). Questi epiteti venivano generalmente attribuiti ad una persona che poi, nella maggior parte dei casi, lo trasmetteva ai figli e a tutta la famiglia. In alcuni casi (non pochi per la verità) dallo scotöm si rileva una certa cattiveria e asprezza, anche se poi la verità è tutt’ altro che lontana. Don Martino Compagnoni in “Una curiosa geografia bergamasca”, conclude così la trattazione dell’argomento “Superficialità? Infantilismo? Probabilmente un po’ di uno e un po’ dell’altro, quando non si ridimensioni il fatto nel suo valore, reale sì certamente come ogni fatto di costume (e quindi sentito e vissuto), ma spesse volte marginale; è una pennellato di colore più o meno vivace.”
Visto che alcuni scotöm risultano offensivi, abbiamo evitato di riportare le famiglie a cui gli stessi si riferiscono, limitandoci a indicare, dove possibile, una traduzione e raggruppando gli scotöm per categoria di creazione lasciando per ultimi quelli che è risultato più difficile inserire in una piuttosto che nell’altra. Rimangono quindi le famiglie: Speransì (fam. Speranza), Bernardì (da Bernardo), Pasqualì (da Pasquale), Cirì (da Ciro) e poi in ultimo Bùne, Rundenì, Biécc, Magèi, Marinèi, Ràsme, Maschèrpì.
Per concludere l’argomento che certo necessiterebbe di più lunga e approfondita analisi, direi che tra gli scotöm sono da inserire i soprannomi che si riferiscono agli abitanti di un intero paese e, salendo la valle partendo da noi abbiamo, a Piario i teedèi o ciodaröi, a Villa i bèsòcc e i gacc a Ogna, i schissa boasse a Nasolino, a Valzurio i camóss, ad Ardesio i càvrè, a Gromo i bèch o i spadér, i bòse a Boario, i taà di Valgoglio, i puì di Colarete e a Novazza i cornàcc, a Gandellino i pàtatì e i làder a Gromo San Marino, quindi Valbondione con i cà di Fiumenero, i lüf di Bondione e i porsèi di Lizzola.
Vi abbiamo voluto offrire questo spaccato di cultura locale con l’augurio che il nostro dialetto, con tutte le espressioni e sfumature che l’accompagnano, non si perda, ma resti un importante mezzo di trasmissione della nostra cultura accanto all’italiano.